Recensioni

 

In questa pagina vengono segnalati articoli scientifici nel campo delle Porfirie, che si distinguono per gli argomenti innovativi e per la qualità e il prestigio delle riviste in cui sono pubblicati. Ogni articolo citato è accompagnato da un commento di un esperto dell’argomento.

 

A Variant of Peptide Transporter 2 Predicts the Severity of Porphyria-Associated Kidney Disease

Glucose metabolism during fasting is altered in experimental porphobilinogen deaminase deficiency

Patients with erythropoietic protoporphyria have reduced erythrocyte protoporphyrin IX from early in pregnancy

Novel Treatment Using Cimetidine for Erythropoietic Protoporphyria in Children

Rapid screening test for porphyria diagnosis using fluorescence spectroscopy

Pitfalls in Erythrocyte Protoporphyrin Measurement for Diagnosis and Monitoring of Protoporphyrias

Preclinical Development of a Subcutaneous ALAS1 RNAi Therapeutic for Treatment of Hepatic Porphyrias Using Circulating RNA Quantification

Severe porphyric neuropathy – importance of screening for porphyria in Guillain-Barré syndrome

High prevalence of and potential mechanisms for chronic kidney disease in patients with acute intermittent porphyria

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A Variant of Peptide Transporter 2 Predicts the Severity of Porphyria-Associated Kidney Disease

Tchernitchko D, Tavernier Q, Lamoril J, Schmitt C, Talbi N, Lyoumi S, Robreau AM, Karim Z, Gouya L, Thervet E, Karras A, Puy H, Pallet N.

J Am Soc Nephrol 28: 1924–1932, 2017

Abstract
CKD (Chronic Kidney Disease) occurs in most patients with acute intermittent porphyria (AIP). During AIP, δ-aminolevulinic acid (ALA) accumulates and promotes tubular cell death and tubulointerstitial damage. The human peptide transporter 2 (PEPT2) expressed by proximal tubular cells mediates the reabsorption of ALA, and variants of PEPT2 have different affinities for ALA. We tested the hypothesis that PEPT2 genotypes affect the severity and prognosis of porphyria-associated kidney disease. We analyzed data from 122 individuals with AIP who were followed from 2003 to 2013 and genotyped for PEPT2. At last follow-up, carriers of the PEPT2*1*1 genotype (higher affinity variant) exhibited worse renal function than carriers of the lower affinity variants PEPT2*1/*2 and PEPT2*2/*2 (mean±SD eGFR: 54.4±19.1, 66.6±23.8, and 78.1±19.9 ml/min per 1.73 m2, respectively). Change in eGFR (mean±SD) over the 10-year period was −11.0±3.3, −2.4±1.9, and 3.4±2.6 ml/min per 1.73 m2 for PEPT2*1/*1, PEPT2*1*2, and PEPT*2*2*2 carriers, respectively. At the end of follow-up, 68% of PEPT2*1*1 carriers had an eGFR<60 ml/min per 1.73 m2, compared with 37% of PEPT2*1*2 carriers and 15% of PEPT2*2*2 carriers. Multiple regression models including all confounders indicated that the PEPT2*1*1 genotype independently associated with an eGFR<60 ml/min per 1.73 m2 (odds ratio, 6.85; 95% confidence interval, 1.34 to 46.20) and an annual decrease in eGFR of >1 ml/min per 1.73 m2 (odds ratio, 3.64; 95% confidence interval, 1.37 to 9.91). Thus, a gene variant is predictive of the severity of a chronic complication of AIP. The therapeutic value of PEPT2 inhibitors in preventing porphyria-associated kidney disease warrants investigation.

Commento a cura della Dott.ssa Francesca Granata

Una variante del trasportatore peptidico 2 predice la severità della malattia renale associata alla porfiria acuta intermittente

La porfiria acuta intermittente (AIP) è caratterizzata da sintomatologia neuro viscerale acuta scatenata da numerosi fattori sia esogeni che endogeni. La crisi acuta viene curata mediante infusioni di arginato d’emina e glucosata. L’attacco è dovuto ad accumulo a livello neuronale di precursori della via biosintetica dell’eme quali l’acido-delta-aminolevulinico (ALA) e il porfobilinogeno (PBG). Oltre alla sintomatologia in acuto, i precursori accumulandosi nel fegato e nel rene creano sofferenza d’organo con conseguente danno sia epatico che renale.
Gli autori dell’articolo si sono focalizzati principalmente sul danno renale e sulla tossicità data dall’ALA a livello dei segmenti S2 e S3 nella sezione prossimale dei tubuli renali. L’accumulo in questa area porta ad una progressiva perdita di omeostasi tubolare con riduzione della funzionalità e conseguente riduzione del filtrato glomerulare nei pazienti AIP. La causa scatenante dell’accumulo è da ricercarsi nel peptide trasportatore transmembrana PEPT2, trascritto dal gene SLC15A2, che si occupa di riassorbire all’interno del rene numerose sostanze tra cui l’ALA. Quindi durante l’attacco, essendoci una maggiore produzione di ALA, avviene anche un maggiore riassorbimento e conseguente accumulo.
Gli autori del lavoro però negli anni d’esperienza clinica hanno notato che non tutti i pazienti che presentano la stessa quantità di ALA prodotta e lo stesso numero di attacchi acuti mostrano la stessa perdita di funzionalità renale. Hanno quindi raccolto una casistica di 122 pazienti affetti da AIP che è stata analizzata tramite genotyping per PEPT2. L’analisi dell’aplotipo dei pazienti ha mostrato la presenza di più varianti di PEPT2:

  • PEPT2*1/*1 (ex13 CC/ex15 CC) nel 21,5% dei pazienti
  • PEPT2*1/*2 (ex13 CT/ex15 CT) presente in maggiore percentuale nella popolazione (51%)
  • PEPT2*1/*3 (ex13 CC/ex15 TT) nel 26% dei pazienti
  • PEPT2*2/*2 (ex13 TT/ex15 TT) solo 1,5% dei pazienti presenta questo aplotipo

Gli autori hanno creato due gruppi di pazienti, utilizzando come valore soglia del filtrato glomerulare 60ml/min per 1.73m2 rilevato in sede di visita. Inoltre all’interno dei due gruppi hanno suddiviso i pazienti in base al genotipo di PEPT2, notando una maggiore popolosità per l’aplotipo PEPT2*1/*1 nel gruppo con filtrato inferiore a 60ml/min per 1.73m2, mentre il genotipo PEPT2*2/*2 ha un maggiore incidenza nel gruppo con filtrato maggiore. Inoltre, nel periodo che va dal 2003 al 2013, i ricercatori hanno monitorato il declino del filtrato, dimostrando che il maggior decremento (con un volume di -13ml/min per 1.73m2) è correlato al genotipo PEPT2*1/*1 (ex13 CC/ex15 CC) confrontato con il genotipo PEPT2*2/*2 con -4.8ml/min per 1.73m2.

Questi risultati sono utili per tutta la comunità scientifica che tratta persone affette da AIP, perché consente di avere un indice del rischio per i pazienti portatori del genotipo a bassa espressione PEPT2. Questo permetterebbe al clinico di monitorare con maggior frequenza la condizione renale del paziente e di formulare consigli più efficaci o azioni terapeutiche mirate a migliorare i livelli di filtrato glomerulare.

Dott.ssa Francesca Granata
Biologa contrattista
U.O. Medicina Interna-Presidio Regionale per le Porfirie- Rete regionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, la terapia delle malattie rare.
Specializzanda in Scienza Dell Alimentazione- Università degli Studi di Milano
Fond. IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico-Pad. Granelli
Via F. Sforza 35
20122 Milano
Phone +39 0255033363
Email: francesca.granata@unimi.it

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Glucose metabolism during fasting is altered in experimental porphobilinogen deaminase deficiency

María Collantes, Irantzu Serrano-Mendioroz, Marina Benito, Francisco Molinet-Dronda, Mercedes Delgado, María Vinaixa, Ana Sampedro, Rafael Enríquez de Salamanca, Elena Prieto, Miguel A. Pozo, Iván Peñuelas, Fernando J. Corrales, Miguel Barajas and Antonio Fontanellas.

Human Molecular Genetics, 2016,1-10

Abstract
Porphobilinogen deaminase (PBGD) haploinsufficiency (acute intermittent porphyria, AIP) is characterized by neurovisceral attacks when hepatic heme synthesis is activated by endogenous or environmental factors including fasting. While the molecular mechanisms underlying the nutritional regulation of hepatic heme synthesis have been described, glucose homeostasis during fasting is poorly understood in porphyria. Our study aimed to analyse glucose homeostasis and hepatic carbohydrate metabolism during fasting in PBGD-deficient mice. To determine the contribution of hepatic PBGD deficiency to carbohydrate metabolism, AIP mice injected with a PBGD-liver gene delivery vector were included. After a 14 h fasting period, serum and liver metabolomics analyses showed that wild-type mice stimulated hepatic glycogen degradation to maintain glucose homeostasis while AIP livers activated gluconeogenesis and ketogenesis due to their inability to use stored glycogen.
The serum of fasted AIP mice showed increased concentrations of insulin and reduced glucagon levels. Specific over-expression of the PBGD protein in the liver tended to normalize circulating insulin and glucagon levels, stimulated hepatic glycogen catabolism and blocked ketone body production. Reduced glucose uptake was observed in the primary somatosensorial brain cortex of fasted AIP mice, which could be reversed by PBGD-liver gene delivery. In conclusion, AIP mice showed a different response to fasting as measured by altered carbohydrate metabolism in the liver and modified glucose consumption in the brain cortex. Glucose homeostasis in fasted AIP mice was efficiently normalized after restoration of PBGD gene expression in the liver.

Commento della Dott.ssa Valeria Fiorentino

Il metabolismo del glucosio è alterato in un modello sperimentale di deficienza di Porfobilinogeno Deaminasi

In questo articolo di Maria Collantes e Irantzu Serrano-Mendioroz viene posta l’attenzione sulla differente risposta metabolica durante il digiuno in topi deficitari della porfobilinogeno deaminasi (PBGD). L’alterazione del metabolismo del glucosio legata all’espressione epatica della PBGD viene evidenziata dal ripristino di una risposta fisiologica al digiuno nei topi AIP in cui viene overespressa, specificamente nel fegato, la proteina PBGD.
Il legame tra deprivazione calorica e attacchi acuti è già stato precedentemente descritto a livello molecolare, dove l’attore principale è PGC1a, un fattore trascrizionale che vede tra i suoi target ALAS1.
Questo lavoro si concentra invece sull’omeostasi del glucosio e il metabolismo dei carboidrati durante il digiuno in topi AIP, facendo emergere importanti differenze metaboliche imputabili all’alterazione dell’espressione del gene HMBS.
Mediante l’uso di un analogo del glucosio radioattivo (18F-FDG) è stata osservata una riduzione dell’assorbimento di glucosio a livello celebrale nei topi AIP, in particolare nella zona della corteccia somatosensoriale primaria.
Anche le analisi condotte sui sieri dei topi wild-type e AIP mostrano marcate differenze nelle risposte per il mantenimento della normoglicemia durante il digiuno.
Nei topi wild-type infatti, dopo le 14 ore di digiuno, si ha un aumento di produzione di piruvato, lattato e alanina, mentre rimangono inalterate le concentrazioni di glicerolo e corpi chetonici. Si hanno ridotti livelli di glicogeno, suggerendo la glicogenolisi come processo metabolico attivato per mantenere i livelli normali di glucosio-6-fosfato e glicemia durante il digiuno. Nei topi AIP invece, la risposta al digiuno vede un aumento di idrossibutirrato e acetone, con ridotti livelli di piruvato, lattato e alanina. I livelli di glicogeno sono invariati, mentre si ha una forte riduzione di acido piruvico. Questi dati indicano l’attivazione della gluconeogenesi e della chetogenesi per mantenere normali i livelli di glucosio nel fegato e nel sangue durante il digiuno, piuttosto che la glicogenolisi vista nei topi wild-type. Anche lo stato energetico misurato come rapporto ATP/ADP intraepatico è diverso. Se, infatti, nei topi wild-type durante il digiuno c’è una maggiore produzione di ATP, nei topi AIP il rapporto non cambia, mettendo ancora una volta in evidenza l’uso di una fonte energetica alternativa alla glicogenolisi. Inoltre, questa risposta viene accompagnata da alta concentrazione sierica di insulina e bassi livelli di glucagone circolante.
Il test di tolleranza del glucosio rileva un marcato abbassamento della curva nei topi eterozigoti composti e un valore intermedio rispetto al wild-type nei portatori di una mutazione. Questo dato mette in evidenza una insulino-resistenza strettamente legata all’espressione epatica della PBGD.
In tutti i casi, lo stretto legame tra metabolismo del glucosio e PBGD epatica viene verificato tramite la normalizzazione dei diversi parametri nei topi AIP in cui viene overespresso il gene dell’HMBS.
Revertendo, infatti, l’espressione epatospecifica del gene HMBS attraverso vettore virale, l’assorbimento celebrale di glucosio viene normalizzato; viene ripristinata la glicogenolisi, con un aumento della produzione di ATP, così come l’andamento della curva di tolleranza al glucosio, che è paragonabile a quella dei topi wild-type.

Questo lavoro mette quindi in evidenza la diversa risposta al digiuno nei topi AIP dove, al posto della glicogenolisi, vengono attivate gluconeogenesi e chetogenesi, accompagnate da alterazioni nei livelli di insulina e glucagone, strettamente correlati all’attività della PBGD in quanto l’espressione esogena della proteina ripristina la risposta fisiologica al digiuno.
Molto interessante è, inoltre, la correlazione tra metabolismo energetico e via biosintetica dell’eme che emerge dallo studio di topi AIP e quindi difettivi in questo pathway. Ciò che emerge è lo stretto legame tra PBGD, ciclo di Krebs e disfunzione mitocondriale. Sembrerebbe infatti che, attraverso l’attivazione della chetogenesi e gluconeogenesi (accompagnata da un’insulino-resistenza), piuttosto che della glicogenolisi, vi sia un accumulo di corpi chetonici a livello celebrale che potrebbero così attivare specifici neuroni sensibili ai corpi chetonici.
Questa speculazione apre nuove prospettive in un contesto in cui tra l’altro il digiuno in topi AIP non è accompagnato da un massivo accumulo di PBG urinario o di ALA. Il taglio di questo articolo induce quindi a riflettere e a vedere la via biosintetica dell’eme non solo dal punto di vista di produzione di porfirine ed emeproteine, ma come un pathway coinvolto a più livelli in processi fisiologici complessi, come quelli mediati dal metabolismo del glucosio. Con un approccio volto alla visione di insieme in cui la via biosintetica dell’eme gioca un ruolo attivo, si possono trovare nuovi indirizzi di ricerca che possano permettere l’identificazione di nuovi fattori molecolari coinvolti durante le fasi acute della malattia.

Dott.ssa Valeria Fiorentino
Dottoranda presso la Scuola di Dottorato in Medicina Molecolare e Traslazionale dell’Università degli Studi di Milano.
Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità
Fond. IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico-Pad. Granelli
Via F. Sforza 35
20122 Milano
Attualmente visitor PhD student presso Stem Cell Institute- Liver differentiation group- KU Leuven
Herestraat 49 3000 Leuven, Belgium
Email: valeria.fiorentino@unimi.it

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Patients with erythropoietic protoporphyria have reduced erythrocyte protoporphyrin IX from early in pregnancy

I. M. Heerfordt and H. C. Wulf

Br J Dermatol. 2016 Dec 10

Abstract
Erythropoietic protoporphyria (EPP) is a rare genetic disorder characterized by a reduced activity of the enzyme ferrochelatase (FECH), which converts protoporphyrin IX (PpIX) into heme. This results in PpIX accumulation in erythrocytes both in a free form and bound to zinc. In the present paper we only investigate the free form since it can be transferred to plasma and tissue including the skin where it generates painful skin reactions upon exposure to sunlight.

Commento a cura di Prof. Andrea Trevisan, Dott.ssa Annamaria Nicolli

Riduzione della concentrazione di protoporfirina IX eritrocitaria durante la gravidanza in donne affette da protoporfira eritropoietica.

La lettera di questi autori Danesi si focalizza sulla scomparsa della sintomatologia dolorosa da esposizione solare in donne affette da protoporfiria eritropoietica (EPP) durante il periodo di gestazione.
La EPP è una malattia metabolica genetica, caratterizzata dalla riduzione di attività dell’enzima ferrochelatasi, enzima deputato alla conversione della protoporfirina IX (PPIX) in eme. Nei soggetti affetti da EPP questo deficit enzimatico determina l’accumulo di PPIX, sia in forma libera che legata allo zinco.
In questa comunicazione le considerazioni sono fatte solo in merito alla forma libera, che si accumula a livello della pelle ed è responsabile della reazione cutanea dolorosa.
Il fenomeno di riduzione della fotosensibilità durante la gravidanza di donne con EPP è già stato riferito ed attribuito ad una diminuzione della concentrazione di PPIX. I casi riportati in letteratura sono 7, valutati sia durante che prima la gravidanza (i dati dei 3 articoli sono riassunti in questa comunicazione in una tabella, sono riportate le 7 gravidanze e per ciascuna indicata la percentuale di riduzione di PPIX; per un solo feto è nota la genetica).
Il contributo di questo lavoro è di altri 7 nuovi casi. Le donne affette da EPP sono 4, età compresa tra i 31 e i 43 anni, con patologia confermata biochimicamente e geneticamente, seguite presso l’ospedale di Copenaghen tra il 2002 e il 2014.
Il gruppo di controllo è rappresentato da (1) 20 donne sane, gravide e (2) 15 donne sane, non gravide, di età compresa tra i 26 e i 43 anni, seguite tra il 2011 e il 2015.
Dal sangue delle donne appartenenti a questi tre gruppi la PPIX libera è stata analizzata mediante estrazione in HPLC e successiva rilevazione quantitativa in fluorimetria.

Sin dal primo trimestre di gravidanza, i sintomi della sensibilità all’esposizione alla luce del sole in tutte le 7 gravidanze, diminuiscono o scompaiono completamente. Questa diminuita sensibilità viene correlata ad una diminuzione di PPIX. La diminuzione di PPIX, calcolata come la differenza tra il valore prima della gravidanza e il più basso valore misurato durante la gravidanza, varia tra il 19 e il 66%, con mediana del 53% (i dati sono presentati in una tabella con le concentrazioni di PPIX prima e durante la gravidanza per ciascuna donna e ciascuna gravidanza).
Le concentrazioni di PPIX misurate prima delle gravidanze, in tutte e 7 i casi, sono vicine al valore medio delle misure effettuate prima e dopo la gravidanza. Per contro la popolazione di controllo, le gravide sane, evidenziano un incremento quasi doppio della PPIX pur restando entro i valori di non patologia e non manifestando segni di fotosensibilità, aumento da attribuirsi all’aumentata sintesi di eme.
Ogni gravidanza nelle donne oggetto dello studio è stata monitorata durante tutto il periodo di interesse ed è riportato il time-course della PPIX espressa in percentuale rispetto alla media di tutti i valori misurati prima della gravidanza, nelle 40 settimane di gestazione.
È evidente come ci sia una diminuzione nel primo, una stabilizzazione nel secondo e un aumento nel terzo trimestre senza però raggiungere la concentrazione del periodo pre-gravidanza.
Gli autori confermano i dati della letteratura e dimostrano che questo effetto, monitorato durante tutta la gravidanza, è specifico per le affette da EPP.
Il fenomeno potrebbe essere dovuto alla conversione di PPIX in eme da parte del feto sano non affetto da EPP (i 7 neonati erano sani, ferrochelatasi non mutata), ma se questo meccanismo fosse quello che interviene nella trasformazione di PPIX in eme, dovrebbe aumentare con la maturazione del feto e ciò non accade; nel time-course si evidenzia infatti che il periodo con minore PPIX è il secondo trimestre.
Altro meccanismo plausibile sta nell’effetto secernente della placenta con produzione di ormone stimolante i melanociti (α-MSH), che può causare una diminuzione della fotosensibilità grazie all’aumento della pigmentazione.

Considerazioni:
Riteniamo che la comunicazione debba rappresentare uno stimolo alla comprensione del meccanismo biochimico molecolare che sta alla base della riduzione della fotosensibilità delle protoporfiriche gravide. La riduzione della fotosensibilità non può essere attribuita alla esclusiva pigmentazione, ma è presumibile un meccanismo molecolare di regolazione di produzione/eliminazione di PPIX durante la gravidanza, che riduce il dolore dopo esposizione solare. Lo studio andrebbe esteso ad un numero più significativo di protoporfiriche in gravidanza ed ampliato anche lo studio biochimico di tutte le porfirine nei liquidi biologici allo scopo di capire se vi è una minore produzione di queste o se vengono più rapidamente metabolizzate ed eliminate nel periodo di gestazione.

Prof. Andrea Trevisan
Dr.ssa Annamaria Nicolli
U.O.C. Medicina Preventiva e Valutazione del Rischio
Azienda Ospedaliera – Università degli Studi di Padova
Via Giustiniani, 2 – 35128 Padova
Email: tossicologia.industriale@unipd.it
Tel. 049 8216639 – Fax 049 8212542

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Novel Treatment Using Cimetidine for Erythropoietic Protoporphyria in Children.

Tu JH, Sheu SL, Teng JM

JAMA Dermatol. 2016 Jul 13

Erythropoietic protoporphyria (EPP) is a rare hereditary disease of heme biosynthesis that manifests as severe photosensitivity and hepatotoxicity. There have been no effective treatments to date. Cimetidine has been shown to inhibit heme biosynthesis and results in symptomatic improvement in patients with acute intermittent porphyria (AIP) and porphyria cutanea tarda (PCT). There is only 1 report in the literature describing the use of cimetidine in the effective treatment of an adult patient with EPP.

Objective: To describe the successful use of cimetidine in pediatric patients with EPP.
Design, Setting, and Participants: Retrospective medical record review carried out in a pediatric dermatology practice at an academic institution of patients diagnosed with EPP who were younger than 18 years and treated with systemic cimetidine in the past 3 years.
Interventions: Systemic cimetidine.
Main Outcomes and Measures: Resolution of skin photodamage was evaluated on clinical examination. Subjective measures including tolerability to sun exposure, ability to participate in outdoor activities, and objective evaluation including serum erythrocyte protoporphyrin levels and liver function tests following treatment were assessed.
Results: All 3 cases reported a rapid reduction in photosensitivity within weeks following initiation of systemic therapy. Their skin photodamage were also improved or resolved completely on subsequent examination. Laboratory study results also revealed reduction in serum erythrocyte protoporphyrin levels and improved liver function. None of the patients have reported any adverse effects of the systemic treatment after more than 2 years of treatment.
Conclusions and Relevance: Children with EPP currently have limited therapeutic options and experience substantial disease impact on their quality of life. This is the first case series demonstrating that cimetidine, a readily available oral medication, can be a promising treatment for children with EPP.

Commento a cura della Dott.ssa Francesca Granata

Trattamento con Cimetidine in pazienti affetti da Protoporfiria Eritropoietica

La protoporfiria eritropoietica (EPP) è una patologia genetica rara con esordio in età pediatrica. La sintomatologia principale è data da mutazioni del gene Ferrochelatasi che codifica per l’ultimo enzima della via biosintetica dell’Eme e che porta all’accumulo di un suo precursore chiamato Protoporfirina IX (PPIX). Questa sostanza è foto attiva e provoca a livello cutaneo fotosensibilità acuta, bastano 5/10minuti d’esposizione alla luce solare per scatenare una crisi. L’accumulo a livello epatico di queste sostanze può portare ad una compromissione epatica in un 20-30% dei pazienti.
Ad oggi, l’unica terapia per alleviare la sintomatologia dolorosa data da fotoesposizione è l’utilizzo di un analogo strutturale dell’α-MSH, un ormone endogeno melanotropo prodotto dalla parte intermedia dell’ipofisi e derivante dal sistema delle melanocortine. Il farmaco (Afamelanotide) può essere somministrato solo in età compresa tra i 18 e 65 anni, escludendo l’età infantile che per questi pazienti risulta essere un periodo veramente delicato e che senza una cura adeguata porta a delle limitazioni di vita notevoli.
Gli autori dello studio hanno voluto ricercare una soluzione per alleviare la sintomatologia cutanea in pazienti pediatrici ai quali non è concessa la cura con Afamelanotide.
Come menzionato nell’introduzione dell’articolo, gli autori sono andati alla ricerca in letteratura di possibili sostanze già somministrate ai pazienti affetti da EPP. Sono riportati tre articoli del 1987, 1993 e 2010 [1-3] che attestano un successo nel trattando dei pazienti con Cimetidine sia della sintomatologia fotosensibile, per in pazienti affetti da Porfiria Cutanea Tarda e Protoporfiria Eritropoietica, ma anche per la cura dei sintomi neuro-viscerali in pazienti affetti da Porfiria Acuta Intermittente. In tutti questi casi si riporta un miglioramento del quadro clinico generale.
La Cimetidine è un principio attivo impiegato per il trattamento dell’ulcera gastrica benigna, dell’esofagite peptica, della sindrome di Zollinger-Ellison. Inoltre è noto anche come antagonista che inibisce la sintesi di Acido δ-aminolevulinico, primo precursore della via biosintetica dell’eme. Si pensa che sia proprio questa caratteristica che renda la Cimetidine un farmaco utile per gli ammalati di Porfiria.
Gli autori hanno perciò somministrato, sulla base di queste conoscenze, una dose di 30-40 mg/kg di Cimetidine a tre pazienti EPP in età pediatrica.

Caso 1
Paziente di 13 anni con forte fotosensibilità, colestasi, dolori addominali e valori di PPIX corrispondenti a 8,10 μmol/L. Per migliorare la sintomatologia fotosensibile la paziente è stata trattata con Beta-carotene, ma senza successo. Successivamente è stata trattata con Cimetidine, il trattamento è stato prolungato per due anni migliorando la qualità di vita della paziente, aumentando notevolmente le attività al sole. A livello biochimico i livelli di PPIX risultano diminuiti a 5,10 μmol/L.

Caso 2
Il secondo caso clinico riportato è di una bambina di 10 anni affetta da Protoporfiria con valori di PPIX corrispondenti a 24,61 μmol/L, con una tolleranza al sole massima di 30 minuti e quadro epatico con valori lievemente mossi di transaminasi (40 AST e 52 ALT). Dopo un mese di trattamento la paziente si è esposta per 7 ore consecutive al sole con una protezione adeguata e i valori di transaminasi risultavano nella norma (38 AST e 34 ALT) mentre i valori di PPIX non sono stati riportati.

Caso 3
L’ultimo caso riportato è di una bambina di 4 anni con una forte compromissione epatica con livelli di transaminasi elevate (92 AST e 92 ALT). Viene descritto un coinvolgimento cutaneo grave dato da fotosensibilità. Dopo sei mesi di cura con Cimetidine viene segnalato un miglioramento del quadro epatico e della fotosensibilità.

Dai risultati mostrati sembra che la Cimetidine abbia un effetto positivo sulla patologia in età pediatrica.
Ma, come sostengono i ricercatori stessi, c’è bisogno di uno studio più approfondito e ampio, anche perché dai dati riportati non si capisce se la Cimetidine ha un effetto diretto sulla diminuzione dei livelli di protoporfirine eritrocitarie.
Solo nel caso clinico 1 viene riportato il dato biochimico che attesta un decremento del valore di protoporfirine, mentre nei casi 2 e 3 non sono riportati dati biochimici pre e post trattamento.
Per comprendere al meglio quale sia l’effetto della Cimetidine sui livelli di PPIX eritrocitarie, sarebbe necessario uno studio su una casistica più ampia di pazienti in età pediatrica, con rilevazione delle protoporfirine eritrocitarie e fecali. Un trial clinico ampio inoltre potrebbe caratterizzare meglio la posologia dato che i medici che hanno trattato i pazienti si riferiscono ad un trattamento utilizzando 30-40 mg/kg. Lo stesso effetto, capendo il meccanismo molecolare sul quale la Cimetidine va ad agire, si potrebbe ottenere con dosaggi inferiori che porterebbero a minor rischi di sviluppare effetti collaterali o una farmaco resistenza.
Inoltre, partendo da dati estrapolati da un eventuale trial clinico in età pediatrica, si potrebbe prendere in considerazione anche una sperimentazione nel paziente adulto che potrebbe giovare dei benefici della Cimetidine senza ricorrere a cure più costose e difficili da ottenere.

Bibliografia
[1] Horie Y, Udagawa M, Hirayama C. Clinical usefulness of cimetidine for the treatment of acute intermittent porphyria—a preliminary report. Clin Chim Acta. 1987;167(3):267-271.
[2] Fujita Y, Sato-Matsumura KC. Effective treatment for porphyria cutanea tarda with oral cimetidine. J Dermatol. 2010;37(7):677-679.
[3] Yamamoto S, Hirano Y, Horie Y. Cimetidine reduces erythrocyte protoporphyrin in erythropoietic protoporphyria. Am J Gastroenterol. 1993;88(9):1465-1466

 

Dott.ssa Francesca Granata
Biologa contrattista
U.O. Medicina Interna-Presidio Regionale per le Porfirie- Rete regionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, la terapia delle malattie rare.
Specializzanda in Scienza Dell Alimentazione- Università degli Studi di Milano
Fond. IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico-Pad. Granelli
Via F. Sforza 35
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Email: francesca.granata@unimi.it

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Rapid screening test for porphyria diagnosis using fluorescence spectroscopy

A. Lang, H. Stepp, C. Homann, G. Hennig, G. M. Brittenham and M. Vogeser

Proceedings of SPIE – vol. 9537, Clinical and Biomedical Spectroscopy and Imaging IV, 953706 (July 15, 2015)

Abstract
Porphyrias are rare genetic metabolic disorders, which result from deficiencies of enzymes in the heme biosynthesis pathway. Depending on the enzyme defect, different types of porphyrins and heme precursors accumulate for the different porphyria diseases in erythrocytes, liver, blood plasma, urine and stool. Patients with acute hepatic porphyrias can suffer from acute neuropathic attacks, which can lead to death when undiagnosed, but show only unspecific clinical symptoms such as abdominal pain. Therefore, in addition to chromatographic methods, a rapid screening test is required to allow for immediate identification and treatment of these patients. In this study, fluorescence spectroscopic measurements were conducted on blood plasma and phantom material, mimicking the composition of blood plasma of porphyria patients. Hydrochloric acid was used to differentiate the occurring porphyrins (uroporphyrin-III and coproporphyrin-III) spectroscopically despite their initially overlapping excitation spectra. Plasma phantom mixtures were measured using dual wavelength excitation and the corresponding concentrations of uroporphyrin-III and coproporphyrin-III were determined. Additionally, three plasma samples of porphyria patients were examined and traces of coproporphyrin-III and uroporphyrin-III were identified. This study may therefore help to establish a rapid screening test method with spectroscopic differentiation of the occurring porphyrins, which consequently allows for the distinction of different porphyrias. This may be a valuable tool for clinical porphyria diagnosis and rapid or immediate treatment.

Commento a cura del Dott. Stefano Marchini

Screening rapido per la diagnosi di Porfiria per mezzo della spettroscopia in fluorescenza

Le Porfirie sono un gruppo di malattie espressione di un deficit nella sintesi dell’eme. A seconda dell’enzima difettivo si hanno differenti accumuli di porfirine e precursori, che danno luogo a diversi tipi di porfiria; quelle acute spiccano per la severità e l’aspecificità dei sintomi. In questo ambito si fa più rilevante la necessità di strumenti analitici semplici e rapidi che supportino la diagnosi e il trattamento dei pazienti affetti.

Gli autori si concentrano sulla spettroscopia in fluorescenza come alternativa rapida ed economica ai test diagnostici in uso da tempo. Questa tecnica è nota per essere il test di elezione nella diagnosi differenziale di Porfiria Variegata. Nella Porfiria Acuta Intermittente invece lo spettro di emissione è molto simile a quello in corso di Porfiria Cutanea Tarda, rappresentando quindi un dato aspecifico poco utile per una diagnosi. L’obiettivo dello studio è fare sì che questa tecnica diventi un valido strumento diagnostico anche in questi casi.

Essendo le porfirie piuttosto rare, non è facile avere a disposizione sufficienti quantità di sangue patologico. Il primo passo quindi è stato costruire un substrato che ne mimi le caratteristiche, miscelando tampone PBS, albumina, uroporfirina (Uro) e coproporfirina (Copro). Gli spettri ottenibili da questo “plasma fittizio” sono molto simili a quelli del vero plasma.

A pH fisiologico gli spettri di eccitazione ed emissione di Uro e Copro sono praticamente sovrapponibili: in queste condizioni è impossibile avere informazioni utili sul contenuto di porfirine del campione. Per risolvere il problema gli autori hanno trattato il plasma con diverse sostanze, trovando che l’aggiunta di acido cloridrico (pH < 2) modifica gli spettri di Uro e Copro in maniera diversa, permettendone la discriminazione. In particolare risulta utile il rapporto tra gli spettri di eccitazione, che mostra come Uro e Copro differiscano nell’intervallo 397 – 409 nm.

Il passo successivo è stato ottenere informazioni quantitative. Per fare ciò, innanzitutto si sono costruite delle curve di calibrazione di Uro e Copro, ottenute registrando i picchi di emissione di quantità scalari di porfirina eccitata a 397 e 409 nm. In seguito si sono registrati gli spettri di emissione di miscele Uro/Copro a diverse concentrazioni e le stesse sono state calcolate come se fossero incognite, mediante confronto con le curve di calibrazione in un sistema a due equazioni. Si è potuto stabilire che accuratezza e precisione del metodo sono superiori per Copro (CV 10%) rispetto a Uro (CV 43%).

L’ultimo step dello studio è stato applicare la metodica messa a punto su un caso reale. Il plasma di un paziente porfirico, con diagnosi mantenuta ignota, è stato sottoposto ad analisi fluorimetrica con e senza HCl aggiunto, con le due lunghezze d’onda di eccitazione individuate. Lo spettro di emissione standard è tipico di una Porfiria Variegata, mentre quello di sottrazione degli spettri con eccitazione a 397 e 409 nm dopo aggiunta di HCl, mostra varie similitudini con quanto si ottiene processando nello stesso modo un campione di uroporfirina.

Il lavoro di Lang e colleghi ha senz’altro il merito di provare a portare novità in un mondo che ne è privo da molti anni. Infatti le tecniche affermatesi nell’ambito della diagnostica delle porfirie risalgono agli anni ’70-’80, alcune ai ’50. D’altro canto non è esente da limiti, innanzitutto nel razionale dello studio: cercare metodi rapidi e specifici per la diagnostica delle porfirie acute potrebbe essere opinabile, data la disponibilità di test rapidi per il porfobilinogeno urinario, a mio avviso difficilmente superabili in termini di rapidità, semplicità e specificità. E’ mia opinione inoltre che una precisa diagnosi di porfiria, che discrimini tra le diverse varianti, non possa risolversi con una sola analisi: ne servono varie, di livelli successivi; esattamente ciò che si è affermato nella prassi dei laboratori specializzati nel settore.

Va fatto notare anche come la spettroscopia in fluorescenza sia sì una tecnica relativamente semplice e rapida, ma che richiede un rilevante investimento iniziale in strumentazione e addestramento del personale: non mi sembra facilmente praticabile in qualsiasi laboratorio. In questo senso la pubblicazione manca del dettaglio metodologico necessario a una sua immediata applicazione.

Per ultimo, ma non minore per importanza, è da sottolineare il fatto che Lang e colleghi prendono in esame un solo caso reale, un po’ poco per essere di utilità pratica.

In conclusione, ritengo il lavoro in oggetto interessante, ma solo se visto come studio preliminare a un approfondimento che ci auguriamo gli autori possano portare a termine nel prossimo futuro.

Dott. Stefano Marchini
Unità Operativa di Medicina Interna 2
Centro di Riferimento Regionale per la Cura delle Porfirie
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena
Via del Pozzo 71, 41124 Modena
Email: stefano.marchini@unimore.it

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Pitfalls in Erythrocyte Protoporphyrin Measurement for Diagnosis and Monitoring of Protoporphyrias

Eric W. Gou, Manisha Balwani, D. Montgomery Bissell, Joseph R. Bloomer, Herbert L. Bonkovsky,
Robert J. Desnick, Hetanshi Naik, John D. Phillips, Ashwani K. Singal, Bruce Wang,
Sioban Keel, and Karl E. Anderson

Clin. Chem. 2015 Dec; 61(12): 1453-6

Abstract
BACKGROUND:
Laboratory diagnosis of erythropoietic protoporphyria (EPP) requires a marked increase in total erythrocyte protoporphyrin (300-5000 μg/dL erythrocytes, reference interval <80 μg/dL) and a predominance (85%-100%) of metal-free protoporphyrin [normal, mostly zincprotoporphyrin (reference intervals for the zinc protoporphyrin proportion have not been established)]; plasma porphyrins are not always increased. X-linked protoporphyria (XLP) causes a similar increase in total erythrocyte protoporphyrin with a lower fraction of metal-freeprotoporphyrin (50%-85% of the total).
CONTENT:
In studying more than 180 patients with EPP and XLP, the Porphyrias Consortium found that erythrocyte protoporphyrin concentrations for some patients were much higher (4.3- to 46.7-fold) than indicated by previous reports provided by these patients. The discrepant earlier reports, which sometimes caused the diagnosis to be missed initially, were from laboratories that measure protoporphyrin only by hematofluorometry, which is intended primarily to screen for lead poisoning. However, the instrument can calculate results on the basis of assumed hematocrits and reports results as “free” and “zinc” protoporphyrin (with different reference intervals), implying separate measurements of metal-free and zinc protoporphyrin. Such misleading reports impair diagnosis and monitoring of patients with protoporphyria.
SUMMARY:
We suggest that laboratories should prioritize testing for EPP and XLP, because accurate measurement of erythrocyte total and metal-free protoporphyrin is essential for diagnosis and monitoring of these conditions, but less important for other disorders. Terms and abbreviations used in reporting erythrocyte protoporphyrin results should be accurately defined.

Commento a cura della Dott.ssa Francesca Granata

“Trabocchetti” nelle metodologie per la diagnosi e monitoraggio delle protoporfirine

In letteratura è noto che accumuli di protoporfirina-IX (PPIX) in plasma ed eritrociti causano durante la fotoesposizione reazioni avverse che portano all’insorgenza di dolore, bruciore e fragilità cutanea, dovuta all’accumulo nell’epidermide di queste molecole. Il dosaggio eritrocitario e plasmatico delle PPIX è utilizzato per effettuare sia la diagnosi che il monitoraggio d’individui affetti da Protoporfiria eritropoietica (EPP) o X-linked protoporfiria (XLP). Un eccessivo incremento può anche essere predittivo di complicazioni epatiche severe.

Il report del gruppo Americano focalizza l’attenzione sulle varie metodologie utilizzate per il dosaggio della PPIX in pazienti affetti da EPP e XLP in uso dal 1961.
In entrambe le forme di protoporfiria si hanno accumuli di grandi quantità di protoporfirine eritrocitarie, le quali in percentuali differenti si suddividono in protoporfirina IX libera e protoporfirina complessata allo Zinco (ZnPP). Nelle forme X-linked si ha un bilanciamento tra le due, mentre nelle forme canoniche di EPP si rilevano percentuali maggiori di PPIX rispetto a ZnPP.
Quindi, il dosaggio delle protoporfirine eritrocitarie totali è importante per discriminare una persona sana da un malato, ma anche la differenziazione in percentuali tra le due frazioni può essere d’aiuto a livello clinico per discriminare tra una delle due forme di porfiria, per reindirizzare l’analisi genetica senza sprechi.

La prima metodologia analizzata implica l’uso dell’ematofluorimetro. Fu sviluppata nel 1970 come tecnica di screening di facile utilizzo nell’avvelenamento da piombo e nelle carenze di ferro perché utilizza una sola goccia di sangue. Lo strumento valuta la concentrazione delle protoporfirine eritrocitarie complessate allo Zinco e Ferro e non il valore delle PPIX libere. Dall’opinione dei ricercatori, questa metodologia è considerata non adeguata perché sottostima di 4.3-46.7 volte i valori di riferimento che si aggirano attorno ai 300-5000 µg/dL. Ciò può portare medici inesperti a sottovalutare il caso clinico e non porre la diagnosi di EPP. Inoltre, può essere fuorviante per quanto riguarda il monitoraggio di pazienti noti, che negli anni possono sviluppare epato-insufficienza, visibile con una crescente concentrazione di PPIX libera.

L’estrazione Acida da plasma è una metodica messa a punto nel 1974. Gli autori giudicano questa tecnica inappropriata perché porta alla rimozione dello Zinco e del Ferro dall’anello tetrapirrolico. A differenza dell’ematofluorimetro, l’estrazione acida sottostima la concentrazione di Porfirina complessata a metalli e va a rilevare solo la PPIX libera. Questo è un problema soprattutto per distinguere un EPP normale da un XLP.

Quindi l’utilizzo di uno solo di questi metodi non è completo e sicuro perché in entrambe i casi c’è l’eventuale rischio di omettere o sottostimare o le protoporfirine libere o quelle complessate allo Zinco. Per porre diagnosi devono quindi essere utilizzati assieme.
Gli autori affermano che nella loro esperienza, l’analisi preformata su plasma non è delle migliori perché tra eritrociti e plasma i valori di PPIX non sono costanti e non correlano con quelli eritrocitari e spesso non vi si accumulano neanche. Utilizzando solo l’estrazione acida su plasma si rischia di non diagnosticare una persona affetta.

Concludendo gli autori raccomandano d’utilizzare entrambe le metodologie se non si hanno a disposizione macchinari specifici come l’HPLC per effettuare le diagnosi e il monitoraggio dei pazienti.
Gli autori inoltre cercano di mettere ordine nella terminologia e abbreviazioni utilizzate per riportare i risultati che spesso sono fuorvianti come: “protoporphyrin”, “protoporfirina libera,”EP”, “del PPE,” e “FEP”. Classificano quindi tre terminologie corrette per riferirsi a:
1) Porfirina eritrocitaria totale (total erythrocyte protoporphyrin)
2) Zincoprotoporfirina eritrocitaria (erythrocyte zinc protoporphyrin)
3) Protoporfirina libera eritrocitaria (erythrocyte metal free protoporphyrin)

Questo lavoro vuole mettere ordine sulle metodologie alternative all’HPLC per il dosaggio delle protoporfirine eritrocitarie e sulla terminologia per il monitoraggio e la diagnosi. È corretta la classificazione che fanno ed è importante che una corretta terminologia venga utilizzata in tutto il mondo in modo uguale e costante.

A mio avviso per rendere l’articolo ancora più interessante e completo, avrebbero potuto ampliare ed argomentare le tecniche anche in relazione a modelli sperimentali e di ricerca. Sia per non escludere che per non legare necessariamente queste due tecniche. Per esempio, nel mondo esistono ricercatori che utilizzano la protoporfirina libera pura in esperimenti di coltura cellulare. In questi casi l’estrazione acida da terreno potrebbe risultare sufficiente e di facile utilizzo per quantificare la PPIX data anche l’assenza delle ZnPP.

Dott.ssa Francesca Granata
Biologa contrattista
U.O. Medicina Interna-Presidio Regionale per le Porfirie- Rete regionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, la terapia delle malattie rare.
Specializzanda in Scienza Dell Alimentazione- Università degli Studi di Milano
Fond. IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico-Pad. Granelli
Via F. Sforza 35
20122 Milano
Phone +39 0255033363
Email: francesca.granata@unimi.it

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Preclinical Development of a Subcutaneous ALAS1 RNAi Therapeutic for Treatment of Hepatic Porphyrias Using Circulating RNA Quantification

Amy Chan, Abigail Liebow, Makiko Yasuda, Lin Gan, Tim Racie, Martin Maier, Satya Kuchimanchi, Don Foster, Stuart Milstein, Klaus Charisse, Alfica Sehgal, Muthiah Manoharan, Rachel Meyers, Kevin Fitzgerald, Amy Simon, Robert J Desnick and William Querbes.

Molecular Therapy—Nucleic Acids (2015) 4

The acute hepatic porphyrias are caused by inherited enzymatic deficiencies in the heme biosynthesis pathway. Induction of the first enzyme 5-aminolevulinic acid synthase 1 (ALAS1) by triggers such as fasting or drug exposure can lead to accumulation of neurotoxic heme intermediates that cause disease symptoms. We have demonstrated that hepatic ALAS1 silencing using siRNA in a lipid nanoparticle effectively prevents and treats induced attacks in a mouse model of acute intermittent porphyria.
Herein, we report the development of ALN-AS1, an investigational GalNAc-conjugated RNAi therapeutic targeting ALAS1. One challenge in advancing ALN-AS1 to patients is the inability to detect liver ALAS1 mRNA in the absence of liver biopsies. We here describe a less invasive circulating extracellular RNA detection assay to monitor RNAi drug activity in serum and urine.
A striking correlation in ALAS1 mRNA was observed across liver, serum, and urine in both rodents and nonhuman primates (NHPs) following treatment with ALN-AS1. Moreover, in donor-matched human urine and serum, we demonstrate a notable correspondence in ALAS1 levels, minimal interday assay variability, low interpatient variability from serial sample collections, and the ability to distinguish between healthy volunteers and porphyria patients with induced ALAS1 levels. The collective data highlight the potential utility of this assay in the clinical development of ALN-AS1, and in broadening our understanding of acute hepatic porphyrias disease pathophysiology.

Commento a cura della Dott.ssa Valentina Brancaleoni

Sviluppo pre-clinico di un RNAi terapeutico contro ALAS1 ad uso sub-cutaneo per il trattamento delle porfirie epatiche mediante quantificazione dell’RNA circolante.

Lo studio pre-clinico intrapreso dall’Alnylam Pharmaceuticals, in collaborazione col gruppo Americano di R.J. Desnick rappresenta uno dei primi studi di applicazione di terapia molecolare nel campo delle porfirie.
Gli autori si sono concentrati sulla porfiria acuta intermittente, la più comune delle porfirie epatiche acute.
L’assunto di base per lo sviluppo di una terapia molecolare sta nel fatto che l’induzione epatica dell’ALAS1 da parte di fattori scatenanti, può portare all’accumulo di intermedi neurotossici dell’eme causando i tipici attacchi di porfiria acuta. Lo sviluppo di un si-RNA (small interfering RNA) in grado di inibire specificatamente il gene ALAS1 espresso a livello epatico rappresenta quindi una nuova e promettente via terapeutica e preventiva nelle porfirie acute.
Gli autori hanno dimostrato che l’ si-RNA coniugato con Gal-NAc diretto contro ALAS1, (ALN-AS1) somministrato per via sottocutanea, è in grado di dare un’inibizione epatica specifica dell’mRNA dell’ALAS1. Inoltre, andando ad analizzare gli mRNA extracellulari (cERD) circolanti in urine e siero hanno correlato positivamente i livelli epatici di trascritto con il circolante, mettendo così a punto una metodica di detezione non invasiva dei livelli di mRNA epatici. Hanno visto inoltre che questa metodica permette di seguire nel tempo l’andamento dell’espressione, permettendo quindi un timing di repressione e riattivazione del target. Il metodo è stata poi testato anche su campioni urinari e sierici di pazienti e controlli normali, indicando che i valori di mRNA circolanti sono un buon marker di espressione epatica del gene ALAS1 in pazienti con porfiria acuta intermittente.
Un altro importante punto del lavoro risiede nel fatto che gli autori hanno dimostrato, usando vari modelli animali, come l’inibizione con ALN-AS1 abbia effetto sia nel prevenire che nel trattare un attacco acuto in corso. Da una comparazione del trattamento dell’attacco con ALN-AS1 e con emina hanno tra l’altro evidenziato una maggiore efficacia dell’si-RNA rispetto all’eme, già 24h post somministrazione.
Lo studio in generale è un promettente esempio di applicazione di metodiche molecolari per la terapia delle porfirie e in generale di malattie genetiche.
Gli autori hanno applicato con successo una terapia molecolare che si rivela, essere poco invasiva, efficace e veloce, sebbene per ora limitata a modelli animali. L’efficacia si è evidenziata sia a scopo preventivo che curativo, rendendo il trattamento bivalente.
La messa a punto di una metodica non invasiva di rilevazione di mRNA circolanti extracellulari è di fondamentale importanza sia in abito di ricerca che in ambito clinico. In ambito di ricerca poiché così è possibile, di fatto, svincolarsi da una metodica invasiva e traumatica, come una biopsia, per valutare i livelli di espressione epatica in pazienti affetti. Consente inoltre di aprire nuove ricerche per la comprensione della patogenesi delle porfirie acute, che hanno un’espressione prevalentemente epatica.
Nella pratica clinica si rivelerà invece sicuramente utile sia per seguire l’andamento naturale della patologia nei pazienti, sia per la valutazione di curve dose/risposta personalizzate per ciascun paziente, qualora la terapia molecolare fosse messa in atto, o comunque anche in caso di trattamento convenzionale con eme.

Dott.ssa Valentina Brancaleoni
Biologa contrattista di Ricerca
U.O. Medicina Interna-Presidio Regionale per le Porfirie- Rete regionale per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi, la terapia delle malattie rare.
Specializzanda in Genetica Medica- Università degli Studi di Milano
Fond. IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico-Pad. Granelli
Via F. Sforza 35 – 20122 Milano
Phone +39 0255033363
Email: valentina. brancaleoni@unimi.it

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Severe porphyric neuropathy – importance of screening for porphyria in Guillain-Barré syndrome


C-M Schutte, C H van der Meyden, L van Niekerk, M Kakaza, R van Coller, V Ueckermann, N M Oosthuizen.  S Afr Med J 2016;106(1):44-47.

Abstract
The hepatic porphyrias are a group of rare metabolic disorders, each of which is associated with a specific enzymatic alteration in the haem biosynthesis pathway. In South Africa (SA), a high incidence of variegate porphyria (VP) is seen as a result of a founder effect, but acute intermittent porphyria (AIP) is also encountered. The development of acute neurovisceral attacks is related to environmental factors, including medications, hormones and diet. A possible manifestation of a severe attack is rapidly progressing quadriparesis, which may mimic Guillain- Barré syndrome. We present four such cases, highlighting that acute porphyria should be considered in the differential diagnosis of Guillain- Barré syndrome. Three patients presented to Steve Biko Academic Hospital, Pretoria, SA, with progressive quadriparesis, and one to a private hospital with acute abdominal pain followed by rapidly progressive quadriparesis. Two patients had started antiretroviral therapy before the development of symptoms, and one had started antituberculosis therapy. All patients had marked weakness with depressed reflexes, and showed varying degrees of confusion. An initial diagnosis of Guillain-Barré syndrome led to administration of intravenous immunoglobulins in two patients. On testing for porphyria, it was found that two patients had AIP and two VP. Electrophysiological investigations revealed severe mainly motor axonal neuropathy in all. Two patients deteriorated to the point of requiring mechanical ventilation, and one of them died due to complications of critical illness. Haemin was administered to three patients, but the process of obtaining this medication was slow, which delayed the recommended early administration. The surviving patients showed minimal recovery and remained severely disabled. Porphyric neuropathy should always be considered as a differential diagnosis in a patient with an acute neuropathy, especially in SA. Absence of abdominal pain does not exclude the possibility of porphyria, and attacks may be precipitated by antiretroviral and antituberculosis medication. The outcome of our patients was not favourable; specifically, obtaining haemin was a challenge in the state hospital setting.

Commento a cura del Dott. Matteo Marcacci

Neuropatia porfirica severa – importanza dello screening per porfiria nei pazienti con sindrome di Guillain-Barrè

Lo studio descrive la presentazione clinica di 4 pazienti presentatisi in un anno presso l’U.O. di Neurologia dell’ospedale di Pretoria, in Sudafrica, con tetraparesi rapidamente progressiva.
In Sudafrica, infatti, la prevalenza di porfiria variegata nella popolazione bianca è molto più elevata che nel resto del mondo, con circa 3 casi ogni 1000 individui; questo sembra essere riconducibile ad una coppia di olandesi emigrati per motivi religiosi a Città del Capo nel 1688, portatori della mutazione a carico del gene codificante per la protoporfirinogeno-ossidasi. Tale mutazione si è poi diffusa nel tempo ai sudafricani bianchi di razza anglofona, ai mulatti ed ai neri della regione del Capo, dove non sono rare le unioni miste, mentre è molto più rara nella popolazione di pura razza africana.
Questo lavoro di Schutte sottolinea che la neuropatia porfirica acuta può essere simile alla neuropatia rilevata in corso di sindrome di Guillain-Barrè, a tal punto da non renderne sempre agevole la diagnosi differenziale, anche perché la neuropatia porfirica acuta può comparire senza essere preceduta da addominalgia acuta.
E’ noto infatti che l’attacco porfirico acuto (APA) tipicamente si presenta con un intenso coinvolgimento neuro-viscerale: la neuropatia autonomica si manifesta con la classica triade addominale acuta (dolore, vomito e stipsi), che può mimare altre cause di addome acuto (appendicite acuta, colica biliare o renale, pancreatite acuta, ulcera peptica perforata o occlusione intestinale) e può coinvolgere anche il sistema cardiovascolare, con manifestazioni come tachicardia sinusale, ipertensione arteriosa instabile con ipotensione posturale o spasmi vascolari periferici (soprattutto retinici, con possibilità di amaurosi transitoria).
In corso di attacco porfirico acuto non è raro riscontrare anche segni o sintomi di una neuropatia periferica acuta. Tipicamente si presenta come una neuropatia prevalentemente motoria, caratterizzata da una debolezza muscolare diffusa con una distribuzione simmetrica ed un pari interessamento dei gruppi muscolari prossimali e distali agli arti superiori; l’ipostenia invece è spesso maggiore a livello prossimale negli arti inferiori. La debolezza muscolare solitamente inizia alle estremità degli arti, ma può coinvolgere ogni neurone motorio o cranico fino alla tetraplegia; tra i nervi cranici soprattutto il terzo, il quarto, il nono ed il decimo possono essere interessati. In letteratura, seppur raro, è descritto anche il coinvolgimento dei nervi ottici e dei lobi occipitali, che può condurre il paziente alla cecità; l’interessamento bulbare, invece, può determinare paralisi respiratoria. I riflessi osteo-tendinei sono ridotti ed in molti casi si può riscontrare una completa areflessia; il tono muscolare è ridotto, mentre le fascicolazioni sono solitamente assenti. Una caratteristica eccezionale della neuropatia periferica acuta in corso di APA è la conservazione dei riflessi achillei in circa il 50% dei pazienti. La complicanza più severa, e potenzialmente fatale, di questa neuropatia motoria è l’insufficienza respiratoria da paralisi diaframmatica; tale evenienza è rara, soprattutto se i pazienti vengono trattati precocemente in corso di APA. La neuropatia motoria può essere associata a sintomi sensitivi, verosimilmente secondari ad irritazione nervosa, come parestesie dolorose ed iperestesia.
In corso di attacco porfirico acuto i pazienti possono presentare disturbi della sfera psichica (confusione mentale, delirium, allucinazioni, fino a franche psicosi) ed attacchi di epilessia temporale o di “grande male”.
Dei quattro pazienti descritti nell’articolo di Schutte, tre si sono presentati all’Ospedale Accademico Steve Biko con un esordio atipico, ossia con una tetraparesi progressiva non preceduta da addominalgia o disturbi psichiatrici, ed uno ad un ospedale privato con la classica presentazione (addominalgia acuta seguita da tetraparesi rapidamente progressiva).
La neuropatia porfirica può presentarsi entro 3-75 giorni dall’esordio dell’addominalgia, anche se l’80% dei pazienti la sviluppa entro un mese. Va anche segnalato, come riportato da Hift e Meissner in uno studio su pazienti porfirici sudafricani, che l’improvvisa scomparsa dell’addominalgia in corso di attacco acuto può essere un segnale di una tetraparesi incipiente.
Tutti e quattro i pazienti descritti da Schutte hanno mostrato all’esame obiettivo effettuato all’ingresso in reparto una marcata ipostenia, riflessi osteo-tendinei depressi ed un certo grado di confusione mentale.
In due pazienti una diagnosi iniziale di sindrome di Guillain-Barrè ha determinato la somministrazione di immunoglobuline endovenose.
In seguito, però, i test per la diagnosi di porfiria hanno documentato che due pazienti erano affetti da porfiria acuta intermittente, mentre gli altri due da porfiria variegata.
Le misurazioni elettrofisiologiche hanno rilevato in tutti e quattro i pazienti una neuropatia assonale severa soprattutto motoria, con differente coinvolgimento sensitivo. Tutti i pazienti, infatti, agli studi della conduzione nervosa dei nervi motori hanno presentato potenziali d’azione motori composti (CMAPs) di ridotta ampiezza con velocità di conduzione motoria prevalentemente conservata; in un paziente, addirittura, il quadro elettromiografico è ulteriormente peggiorato dopo due mesi, con scomparsa della risposta dei nervi ulnare e peroneo, precedentemente presenti (questo è il paziente che è deceduto in terapia intensiva, senza riacquisire la capacità di respiro spontaneo). Due pazienti hanno presentato una progressione della neuropatia tale da necessitare della ventilazione meccanica.
A differenza della sindrome di Guillain-Barrè in cui potenziali d’azione motori composti molto ridotti (<10% del normale) sono associati ad una prognosi peggiore, non ci sono dati in letteratura che correlino i potenziali d’azione motori composti con la prognosi nella neuropatia porfirica.
Pregressi lavori in letteratura hanno dimostrato che i miglioramenti elettrofisiologici della neuropatia porfirica acuta possono impiegare molti mesi. I dati sulla prognosi della neuropatia porfirica sono comunque limitati, ma sembra che la regressione del deficit motorio sia spesso completa dopo la terapia; in alcuni casi la caduta del piede o la debolezza della muscolatura intrinseca delle mani o dei piedi può persistere in maniera indefinita. Il miglioramento neurologico sembra dipendere dalla durata del deficit motorio e dalla tempestività della terapia; in caso di deficit di breve durata, il recupero sarà rapido, in caso invece di deficit severo e prolungato, il miglioramento sarà più lento ed il recupero sarà più rapido a livello dei muscoli prossimali rispetto a quelli distali. Ciò ha fatto ipotizzare che i nervi motori in corso di APA subiscano una degenerazione assonale che richiede una successiva rigenerazione.
Pertanto in letteratura è raccomandata la somministrazione precoce di EME-arginato al fine di limitare o di far regredire i danni al sistema nervoso periferico da parte dei precursori dell’EME (tra le varie teorie formulate, sembra che l’eccesso di acido delta-aminolevulinico che avviene in corso di APA possa agire come una neurotossina diretta, a causa di un’interazione col GABA, un neurotrasmettitore inibitorio strutturalmente simile); nella maggior parte dei pazienti descritti in questo articolo la somministrazione di EME invece è stata ritardata a causa dell’indisponibilità locale del farmaco.
Questo potrebbe aver peggiorato l’outcome dei pazienti; di conseguenza, infatti, i pazienti sopravvissuti hanno presentato un recupero neurologico minimo con disabilità residue severe. Ciò dovrebbe far sì che in futuro il farmaco diventi sempre più facilmente disponibile in Sudafrica. Bisogna inoltre sottolineare che nell’articolo di Schutte non viene specificata la durata e la posologia della terapia con EME, che potrebbe essere stata effettuata a dosaggio insufficiente; è noto dalla letteratura infatti che l’EME (disponibile sia in forma di ematina liofilizzata che di EME-arginato) debba essere somministrata ad una dose di 3-4 mg/kg una volta al giorno per almeno 3-4 giorni. Anche questo potrebbe aver contribuito allo scarso recupero neurologico dei pazienti descritti, differentemente da quanto riscontrato nella nostra pratica clinica in cui il recupero è pressoché completo, seppure dopo molti mesi.
Gli attacchi porfirici acuti sono talvolta spontanei, ma più spesso vengono evocati da fattori scatenanti come infezioni in atto o pregresse, digiuno o diete con restrizione di carboidrati, alcol, estrogeni (varietà ovulociclica) o estroprogestinici di sintesi (contraccettivi) e farmaci. Due dei quattro pazienti descritti nell’articolo di Schutte avevano recentemente iniziato la terapia antiretrovirale per HIV (uno dei pazienti aveva iniziato la terapia HAART, mentre l’altro stava effettuando una profilassi post-esposizione) ed uno la terapia antitubercolare; ciò sembra essere stato il fattore scatenante dell’attacco porfirico acuto. Il paziente che aveva intrapreso la terapia HAART riceveva tenofovir, emtricitabina ed efavirenz. E’ noto che i farmaci in pazienti porfirici debbano essere gestiti con estrema cautela, poiché i farmaci con un importante metabolismo microsomiale che coinvolga l’attività del citocromo P450, causando deplezione dell’EME, stimolano la trascrizione dell’ ALA-sintetasi, enzima-chiave nella biosintesi dell’EME. Sebbene non ci siano molti dati in letteratura che colleghino le porfirie acute con la terapia antiretrovirale, è presente un altro case-report di un paziente che ha sviluppato un APA in seguito alla stessa HAART. Dato che soprattutto gli induttori dei citocromi CYP3A4 e CYP2C9 hanno la maggiore porfirinogenicità, probabilmente l’efavirenz (potente induttore del CYP3A4) nel regime antiretrovirale sopracitato è responsabile dell’attacco porfirico acuto.
Questo lavoro dunque ci evidenzia che in tutto il mondo, ma in modo particolare in Sudafrica, i medici devono mantenere alto il sospetto non solo per la porfiria variegata (nota per avere un’elevata incidenza per un effetto del fondatore) ma anche per la porfiria acuta intermittente, dinanzi a pazienti con un quadro di presentazione simile alla sindrome di Guillain-Barrè, anche se non preceduto da ulteriore sintomatologia.
I farmaci hanno un ruolo importante nello scatenare gli APA, pertanto grande attenzione va posta soprattutto nella prescrizione della terapia HAART ed antitubercolare in Sudafrica in pazienti con possibile porfiria acuta. Una sfida per il futuro è far sì che l’EME in Sudafrica, come in ogni altro ospedale del mondo, diventi più facilmente disponibile, per garantire a questi pazienti un trattamento precoce, che potrebbe modificarne la prognosi in modo significativo.

Dott. Matteo Marcacci
Medico in formazione specialistica in Medicina Interna
Unità Operativa di Medicina Interna 2
Centro di Riferimento Regionale per la Cura delle Porfirie
Azienda Ospedaliero-Universitaria Policlinico di Modena
Via del Pozzo 71, 41124 Modena
Email: marcach87@gmail.com

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High prevalence of and potential mechanisms for chronic kidney disease in patients with acute intermittent porphyria

Nicolas Pallet, et al. Kidney Int. 2015 Apr 1

Abstract
Acute intermittent porphyria (AIP) is a genetic disorder of the synthesis of heme caused by a deficiency in hydroxymethylbilane synthase (HMBS), leading to the overproduction of the porphyrin precursors δ-aminolevulinic acid and porphobilinogen. The aim of this study is to describe the clinical and biological characteristics, the renal pathology, and the cellular mechanisms of chronic kidney disease associated with AIP. A total of 415 patients with HMBS deficiency followed up in the French Porphyria Center were enrolled in 2003 in a population-based study. A follow-up study was conducted in 2013, assessing patients for clinical, biological, and histological parameters. In vitro models were used to determine whether porphyrin precursors promote tubular and endothelial cytotoxicity. Chronic kidney disease occurred in up to 59% of the symptomatic AIP patients, with a decline in the glomerular filtration rate of ~1 ml/min per 1.73 m2 annually. Proteinuria was absent in the vast majority of the cases. The renal pathology was a chronic tubulointerstitial nephropathy, associated with a fibrous intimal hyperplasia and focal cortical atrophy. Our experimental data provide evidence that porphyrin precursors promote endoplasmic reticulum stress, apoptosis, and epithelial phenotypic changes in proximal tubular cells. In conclusion, the diagnosis of chronic kidney disease associated with AIP should be considered in cases of chronic tubulointerstitial nephropathy and/or focal cortical atrophy with severe proliferative arteriosclerosis.

Commento a cura del Dott. Claudio Carmine Guida

Alta incidenza di e potenziali meccanismi di malattia renale cronica in pazienti con porfiria acuta intermittente.

Lo studio intrapreso dal Centro Francese delle Porfirie si è proposto di studiare, su larga scala, la funzionalità renale nei pazienti porfirici utilizzando anche modelli in vitro per gli studiare gli effetti dei precursori delle porfirine nella genesi dell’insulto renale.
Nel 2003 il Centro Francese delle Porfirie ha condotto uno studio osservazionale su una popolazione di 415 pazienti affetti da porfiria acuta intermittente (186 con crisi ricorrenti e 231 portatori asintomatici. La maggior parte dei pazienti era di sesso femminile con età media di 50 anni e con prevalenza di carcinoma epatico più alta (3%) rispetto a quella dei portatori asintomatici.
A distanza di 10 anni gli stessi pazienti sono stati contattati fornendo loro questionari per valutare lo stato della patologia. Non tutti i pazienti hanno risposto al sondaggio, solo il 33% (136 pazienti su 415: 74 pazienti con crisi ricorrenti e 62 portatori asintomatici). Nel periodo 2003-2013 5 pazienti hanno sviluppato una malattia renale terminale in trattamento dialitico e 2 due di essi hanno ricevuto un trapianto renale.
I pazienti affetti da PAI frequentemente presentano ipertensione arteriosa con concentrazione urinaria di PBG più elevata nei pazienti porfirici con malattia renale cronica spiegando il coinvolgimento nella patogenesi della patologia porfirica associata alla malattia renale. Le concentrazioni urinarie NGAL (Neutrophil Gelatinase-Associated Lipocalin, Lipocalina Associata alla Gelatinasi Neutrofila), nuovo marcatore di danno tubulare, sono risultate più alte rispetto a quelle dei portatori asintomatici individuando ALA e PBG come promotori di danno tubulare.
Sono state studiate le singole mutazioni genetiche ed è stato visto che i pazienti c.291delG presentano un decremento della funzionalità renale maggiore rispetto ai pazienti c.517C>T; inoltre 5 su pazienti del primo gruppo erano ipertesi versus 2 su 5 pazienti c.517C>T anche senza evidenza di significatività statistica.

In 14 pazienti è stata eseguita una biopsia renale che ha evidenziato glomerulosclerosi (> 50% dei glomeruli), senza lesioni glomerulari specifiche. Rilevati anche atrofia tubulare, ispessimento membrana basale, fibrosi interstiziale e lesioni arteriosclerotiche a vari gradi di severità. Presenza di accumulo di beta catenina e vimentina, come espressione di processo fibrogenico e aggregati cellulari giallo-marroni a livello delle cellule tubulari prossimali dove vi sono anche inclusioni granulari citoplamastiche.
Nei pazienti con PAI il PBG viene incorporato a livello cellulare dove viene trasformato in uroporfirinogeno I o III, meno solubile, che produce aggregati intracellulari.

In vitro elevati valori di ALA e PBG hanno determinato insulto tubulare con evidenza di apoptosi, stress reticolo endoplasmatico e attivazione flusso autofagico.
La perdita di caderina E, marcatore epiteliale, è associato a perdita della morfologia cuboide delle cellule tubulari ed al contatto tra cellule.

Più del 50% dei pazienti con porfiria acuta intermittente presentano malattia renale cronica e la PAI è un fattore di rischio indipendente per MRC malattia renale cronica sebbene sia solitamente associata ad ipertensione.
Il decremento della funzionalità renale è pari a 1 ml/min per anno.
Istologicamente sono state evidenziate due tipi di lesioni:
a) nefropatia tubulointerstiziale cronica
b) iperplasia intimale fibrosa cronica associata ad atrofia corticale diffusa.
I dati istopatologici suggeriscono vasocostrizione da ALA e che i sintomi addominali sono dovuti, almeno in parte, ad ischemia interstiziale. A livello autoptico la sostanza cerebrale di pazienti con PAI presentava multipli infarti e gli attacchi potevano essere responsabili dell’encefalopatia reversibile.
Le lesioni epiteliali sono riconducibili ad ischemia tissutale generata da restringimento del lume arteriolare indipendentemente dall’atrofia tubulare e dalla fibrosi interstiziale.
Si ipotizza che tali lesioni possono verificarsi durante le crisi quando più alta è la concentrazione dei precursori con effetto citotossico seguito da risoluzione e conseguente riparazione del danno. Il succedersi delle crisi può generare lesioni croniche quali atrofia tubulare, fibrosi interstiziale ed arteriosclerosi con quadro di IRA reversibile in corso di crisi.
Il cronico effetto tossico dei precursori porterebbe ad evoluzione lenta delle lesioni.
La concentrazione dei precursori è basalmente più alto per i pazienti con più basso GFR comparato a pazienti senza disfunzione renale in campioni presi al di fuori degli attacchi.
Modelli animali non spiegano le evidenti lesioni renali. Gli effetti tossici dei precursori necessitano di periodi di tempo per alterare la funzionalità renale. I pazienti con porfiria acuta intermittente e malattia renale cronica presentano costantemente alte concentrazioni di precursori per molti anni.
Poco chiari i meccanismi che determinano la morte cellulare. Il danno del DNA viene considerato elemento dell’apoptosica morte cellulare.

Restano da decifrare i meccanismi responsabili dello stress del reticolo endoplasmatico. Non si conoscono i meccanismi responsabili del danno tissutale cronico in corso di porfiria acuta intermittente a livello molecolare come pure i meccanismi delle complicanze extrarenali.
Tra i soggetti esaminati i pazienti con epatocarcinoma presentavano malattia renale cronica e ciò suggerisce una correlazione tra le due patologie. Le cellule incubate con ALA e PBG secernono interleukina 6 (IL-6) che è risaputo favorire la patologia renale. IL-6 ha anche un ruolo nel favorire l’epatocarcinoma.

Lo studio ha avuto il grande merito di studiare la funzionalità renale nei pazienti affetti da porfiria acuta intermittente e la possibile correlazione con la malattia renale cronica. I punti deboli di questo lavoro è che il numero di pazienti sottoposti a biopsia renale è molto limitato per affermare l’assoluta specificità di quello che è stato evidenziato nei pazienti studiati. Non viene chiarito se la scelta di eseguire una biopsia renale fosse dettato da altre patologie quali quelle vascolari, interstiziali ed autoimmuni. Non si conosce lo stadio della malattia renale dei pazienti e relativo filtrato glomerulare senza poter definire il grado di severità della malattia renale così come non viene chiarito se i pazienti studiati sono stati riconosciuti affetti da porfiria acuta intermittente prima della malattia renale o, come stesso accade a distanza di molti anni, spesso decenni, dall’inizio della sintomatologia dolorosa addominale.

Dr. Claudio Carmine GUIDA
Dirigente medico con incarico di rilevante professionalità in Malattie Rare
Specialista in Nefrologia Medica
Centro Interregionale di Riferimento
per la prevenzione, la sorveglianza, la diagnosi e la terapia della Porfiria
(Deliberazione della Giunta Regionale 19 febbraio 2008, n. 171 – B.U.R.P. n. 36 del 05.03.2008)
U.O.C. Nefrologia e Dialisi
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